Salve a tutti e benvenuti
nell’Internetturbino: il blog utile come un terzo capezzolo…
… sul naso
Seconda parte del reportage
(superfluo) del mio recente soggiorno a Bologna. Dopo essere sopravvissuto al volo
ed al primo impatto con la casa (come potete leggere qui), in questo post vi
parlerò del rapporto del sottoscritto e del suo gruppo con gli indigeni e con
la cucina bolognese.
Prima di proseguire nella lettura, se vi va, potete dare un'occhiata al post che ho di recente scritto su un altro blog (qui).
Tempo di lettura: circa 11 minuti
Diciamoci la verità, un po’ tutti
siamo tendenzialmente convinti di essere le uniche persone normali (vuoi nel
pianerottolo, nell’isolato o nell’universo intero), circondate da una manica di
ominidi dimenticati dall’evoluzione. Questo atteggiamento, di solito, ci porta
ad essere decisamente diffidenti verso il prossimo e, soprattutto, verso gli
estranei / stranieri.
Quando, però, ci spostiamo in una
città che non conosciamo, siamo costretti giocoforza a mettere da parte la
nostra misantropia e cercare di stringere rapporti quantomeno cordiali con la
popolazione locale… tenendo presente che, volenti o nolenti, per gli indigeni
siamo noi gli estranei molesti.
Premesso ciò, l’importante,
dunque, è fare una buona impressione fin da subito ai residenti. Solitamente,
per evitare di incappare in incidenti diplomatici, occorre rifarsi alle
semplici regole tramandateci da Cesar Millan in caso di incontro con cani con
la fedina penale chilometrica:
Non incrociare il loro sguardo, non toccarli, camminare disinvolti e,
solo dopo aver stabilito un minimo di intimità, lasciarsi annusare e leccare
Nonostante questi saggi
insegnamenti, io e la mia comitiva, durante la permanenza bolognese, non
abbiamo azzeccato un primo contatto con i residenti neanche per sbaglio.
Pensate che sita esagerando?
Continuate a leggere…
Dopo neanche un’ora dal nostro
arrivo, in profonda crisi ipoglicemica ed alla disperata ricerca di viveri,
siamo entrati in un supermercato e, sbavando come il celeberrimo cane di
Pavlov, ci siamo recati al reparto salumeria per mettere le nostre avide mani su un po’ di
mortadella.
Al bancone, la commessa, con una
voglia di lavorare pari a quella che ha un mignolo di infrangersi contro uno
spigolo, ci ha chiesto:
“Come la volte la
mortadella? Delicata o saporita?”
A quel punto è seguito, da parte
nostra, un totale mutismo neanche ci avesse chiesto la radice quadrata di
trentatré trentini che entrarono a Trento tutti e trentatré trotterellando.
All’improvviso, un membro della
comitiva particolarmente affamato, ha deciso di rompere gli indugi e porre la domanda che a tutti frullava in testa ma
che nessuno osava fare…
"Ma che differenza
c’è?"
La risposta della donna,
accompagnata da un’espressione del tipo: “Preferirei schiacciare una merda con
le infradito, piuttosto che affrontare questa conversazione” è stata crudele e geniale al
tempo stesso:
“Quella delicata è
delicata… e quella saporita è saporita”
La ben nota accoglienza dei bolognesi… brr… è stato come sedersi su un calippo
alla mentuccia di montagna
Da bravi ingordi abbiamo optato
per quella saporita (che il sottoscritto ha digerito direttamente il giorno
dopo e senza passare dal via).
Ma non è finita qui.
Lo stesso giorno (o quello
seguente, maledetta demenza senile prematura), dopo essere usciti di casa, uno
dei compagni di viaggio è stato colto dal tipico dubbio che affligge un po’
tutti appena chiuso il portone di casa: “Ho chiuso il gas?” (e le sue varianti:
“Ho spento la luce?”, “Ho chiuso le finestre?”, “Ho tirato l’acqua dopo aver
fatto la pipì?”).
Ha deciso, quindi, di inerpicarsi
coraggiosamente lungo i quattro piani (senza ascensore), per sincerarsene di
persona. Lo abbiamo pazientemente aspettato e, quando è tornato, ci ha
confessato di aver sbagliato piano, provando (insistentemente) ad aprire la
porta sbagliata…
Come se non bastasse, proprio
mentre si rendeva conto del terrificante errore, la padrona di casa, sentendo
qualcuno che armeggiava con la serratura, ha aperto la porta con un elegante:
“Desidera?” (che, di questi tempi in cui si dibatte sulla legittima difesa, è
sempre meglio che un colpo di doppietta in mezzo agli occhi).
A concludere degnamente il
gustoso tris di figure marroni, ecco l’ultimo capolavoro.
Allora, procediamo con ordine..
Lucio Dalla ha composto la
celebre canzone Piazza Grande.
Lucio Dalla era bolognese.
Niente di più facile che fare 1 +
1 e decidere di dare un’occhiata a Piazza Grande a Bologna.
Tutto regolare, se non fosse per
il piccolissimo particolare che, a Bologna, Piazza Grande non esiste.
Se non lo sapete (come il
sottoscritto fino a qualche giorno fa), Lucio Dalla, nella celebre canzone, non
si riferisce né a Piazza Maggiore a Bologna, né a Piazza Grande a Modena….
bensì a Piazza Cavour a Bologna.
Lucio, porco qua e porco là, già
abbiamo problemi a relazionarci con i locali, pure tu però…!
Per incasinare maggiormente il
tutto, aggiungeteci che i bolognesi sono soliti chiamare Piazza Maggiore,
“Piazza Grande”.
In mezzo a ‘sto casino, potevamo
esimerci dal fare l’ennesima figura barbina?
Giammai.
Dopo aver girato a lungo alla
ricerca dell’inesistente Piazza Grande (per di più il navigatore localizzava
una Piazza Grande a poca distanza dalla nostra posizione… forse un locale
omonimo), un membro del gruppo si è
arreso e, intercettato un distinto signore bolognese, gli ha chiesto:
“Scusi, dov’è Piazza
Grande”
Al che il signore, ritenendoci
infimi come la lanugine nell’ombelico (qui il mistero svelato), non si è
però scomposto ed ha risposto: “Piazza Grande? Ma Piazza Grande è a Modena…” e
se n’è andato via senza darci il tempo di replicare.
Se ci avesse cosparso di piume e
bitume per poi colpirci con una mazza da baseball come delle pignatte umane, ci
avrebbe ferito di meno…
Cucina bolognese
Ovviamente, quando si viaggia, è
cosa buona e giusta assaporare la cucina locale. Proprio perché è ovvio, eviterò
di dirvi banalmente quanto è buona la cucina bolognese:
Di buona, è buona, naturalmente.
Queste foto esplicative, però, vi
avranno fatto probabilmente prendere dai 2 ai 3 chili e mezzo (e fatto salire
il colesterolo almeno a 350).
Sicuramente, è anche colpa mia
che mi sono rigorosamente tenuto lontano da ristoranti macrobiotici e vegani,
ma il problema (gustoso, ma pur sempre un problema) è proprio questo: la cucina
tradizionale bolognese, almeno quella con cui sono entrato in contatto, è tanto
ghiotta, quanto impegnativa.
Panna, besciamella, ragù e compagnia calorica, tanto per avere
un’idea… con l’aggravante delle porzioni: come, ad esempio, le mattonelle di
pasta al forno multistrato misurabili in metri quadrati e reperibili
direttamente dal piastrellista di fiducia…
A proposito, vi siete mai chiesti perché i
bolognesi usano così tanto la bicicletta?Ve lo dico io: per bruciare più calorie possibili tra un pasto e l’altro.
A pensarci bene, è un po’ la rivisitazione del film Speed. Nel film, infatti, un autobus con una bomba a bordo non
poteva viaggiare al di sotto di una certa velocità per non esplodere…
... I bolognesi, invece, devono
pedalare il più possibile per non essere stroncati dal colesterolo che stringe
in una morsa mortale le loro arterie.
Naturalmente, e non poteva essere
diversamente, abbiamo preso anche noi le nostre belle fregature.
Una sfera, sfatti dalle camminate
(e dopo non aver trovato posto al ristorante che avevamo adocchiato), ci siamo
fermati in un locale vicino casa.
Grosso errore: la pigrizia non si sposa
mai con la buona cucina.
In realtà, ce la siamo anche
cercata: nel ristorante, infatti, tutti i clienti ordinavano pizze (che
sembravano anche buone), ma nessuno di noi ne ha ordinata una, preferendo chi
una grigliata di pesce (senza infamia e senza lode), chi delle tagliate.
A pensarci bene, quando il
cameriere non ci ha chiesto la cottura della carne, avremmo dovuto darcela a
gambe subodorando l’imminente violazione anale in arrivo… ma non l’abbiamo
fatto.
Purtroppo.
Con nostro sommo dispiacere, infatti,
la tagliata (forse un po’ piccola per essere realmente tale), ci è arrivata già
tagliata in pezzi che andavano tristemente alla deriva in una sperlunga che
conteneva olio bollente (all’interno del quale la carne completava la sua
cottura).
Ora… non so se è così che i
bolognesi mangiano la tagliata (del resto ho scoperto proprio durante il
viaggio che ricoprono le cotolette con ogni ben di dio, giusto per aumentarne
la porcosità…), ma l’effetto è stato devastante.
Siamo rimasti così impietriti che
nessuno di noi ha pensato di scattare qualche foto.
Ma non preoccupatevi, questa
immagine rende bene l’idea:
Basta sostituire le isole con la carne e l’oceano con l’olio…
Menzione d’onore per l’angina
pectoris che per poco non mi stroncava in uno dei ristoranti che abbiamo
visitato (e dove si mangiava piuttosto bene, seppur non cucina tipica bolognese),
a causa di questo:
Un’aragosta (grazie al cielo finta), incastrata nei termoarredi del
bagno…
… Dannazione, per uno come me che ha vissuto durante gli anni
dell’Università in una casa infestata da scarafaggi grandi e bellicosi come
nani da circo sbronzi, è stata un’esperienza decisamente traumatica (ma il
rosolio allo zenzero era portentoso...)
È tutto per oggi, alla prossima!
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