mercoledì 17 maggio 2017

Chiacchiere da bar - Viaggio a Bologna (seconda parte)



Salve a tutti e benvenuti nell’Internetturbino: il blog utile come un terzo capezzolo…

 
… sul naso

Seconda parte del reportage (superfluo) del mio recente soggiorno a Bologna. Dopo essere sopravvissuto al volo ed al primo impatto con la casa (come potete leggere qui), in questo post vi parlerò del rapporto del sottoscritto e del suo gruppo con gli indigeni e con la cucina bolognese.
Prima di proseguire nella lettura, se vi va, potete dare un'occhiata al post che ho di recente scritto su un altro blog (qui).


Tempo di lettura: circa 11 minuti

 

Diciamoci la verità, un po’ tutti siamo tendenzialmente convinti di essere le uniche persone normali (vuoi nel pianerottolo, nell’isolato o nell’universo intero), circondate da una manica di ominidi dimenticati dall’evoluzione. Questo atteggiamento, di solito, ci porta ad essere decisamente diffidenti verso il prossimo e, soprattutto, verso gli estranei / stranieri. 
Quando, però, ci spostiamo in una città che non conosciamo, siamo costretti giocoforza a mettere da parte la nostra misantropia e cercare di stringere rapporti quantomeno cordiali con la popolazione locale… tenendo presente che, volenti o nolenti, per gli indigeni siamo noi gli estranei molesti. 
Premesso ciò, l’importante, dunque, è fare una buona impressione fin da subito ai residenti. Solitamente, per evitare di incappare in incidenti diplomatici, occorre rifarsi alle semplici regole tramandateci da Cesar Millan in caso di incontro con cani con la fedina penale chilometrica:  

 
Non incrociare il loro sguardo, non toccarli, camminare disinvolti e, solo dopo aver stabilito un minimo di intimità, lasciarsi annusare e leccare 

Nonostante questi saggi insegnamenti, io e la mia comitiva, durante la permanenza bolognese, non abbiamo azzeccato un primo contatto con i residenti neanche per sbaglio. 
Pensate che sita esagerando? 
Continuate a leggere… 
Dopo neanche un’ora dal nostro arrivo, in profonda crisi ipoglicemica ed alla disperata ricerca di viveri, siamo entrati in un supermercato e, sbavando come il celeberrimo cane di Pavlov, ci siamo recati al reparto salumeria per mettere le nostre avide mani su un po’ di mortadella. 
Al bancone, la commessa, con una voglia di lavorare pari a quella che ha un mignolo di infrangersi contro uno spigolo, ci ha chiesto:  

 
“Come la volte la mortadella? Delicata o saporita?” 

A quel punto è seguito, da parte nostra, un totale mutismo neanche ci avesse chiesto la radice quadrata di trentatré trentini che entrarono a Trento tutti e trentatré trotterellando. 
All’improvviso, un membro della comitiva particolarmente affamato, ha deciso di rompere gli indugi e porre  la domanda che a tutti frullava in testa ma che nessuno osava fare… 

"Ma che differenza c’è?"

La risposta della donna, accompagnata da un’espressione del tipo: “Preferirei schiacciare una merda con le infradito, piuttosto che affrontare questa conversazione” è stata crudele e geniale al tempo stesso:

“Quella delicata è delicata… e quella saporita è saporita”

 
La ben nota accoglienza dei bolognesi… brr… è stato come sedersi su un calippo alla mentuccia di montagna

Da bravi ingordi abbiamo optato per quella saporita (che il sottoscritto ha digerito direttamente il giorno dopo e senza passare dal via).  
Ma non è finita qui. 
Lo stesso giorno (o quello seguente, maledetta demenza senile prematura), dopo essere usciti di casa, uno dei compagni di viaggio è stato colto dal tipico dubbio che affligge un po’ tutti appena chiuso il portone di casa: “Ho chiuso il gas?” (e le sue varianti: “Ho spento la luce?”, “Ho chiuso le finestre?”, “Ho tirato l’acqua dopo aver fatto la pipì?”). 
Ha deciso, quindi, di inerpicarsi coraggiosamente lungo i quattro piani (senza ascensore), per sincerarsene di persona. Lo abbiamo pazientemente aspettato e, quando è tornato, ci ha confessato di aver sbagliato piano, provando (insistentemente) ad aprire la porta sbagliata…
Come se non bastasse, proprio mentre si rendeva conto del terrificante errore, la padrona di casa, sentendo qualcuno che armeggiava con la serratura, ha aperto la porta con un elegante: “Desidera?” (che, di questi tempi in cui si dibatte sulla legittima difesa, è sempre meglio che un colpo di doppietta in mezzo agli occhi).
A concludere degnamente il gustoso tris di figure marroni, ecco l’ultimo capolavoro. 
Allora, procediamo con ordine..
Lucio Dalla ha composto la celebre canzone Piazza Grande. 
Lucio Dalla era bolognese.
Niente di più facile che fare 1 + 1 e decidere di dare un’occhiata a Piazza Grande a Bologna.
Tutto regolare, se non fosse per il piccolissimo particolare che, a Bologna, Piazza Grande non esiste.
Se non lo sapete (come il sottoscritto fino a qualche giorno fa), Lucio Dalla, nella celebre canzone, non si riferisce né a Piazza Maggiore a Bologna, né a Piazza Grande a Modena…. bensì a Piazza Cavour a Bologna.

 
Lucio, porco qua e porco là, già abbiamo problemi a relazionarci con i locali, pure tu però…!

Per incasinare maggiormente il tutto, aggiungeteci che i bolognesi sono soliti chiamare Piazza Maggiore, “Piazza Grande”.
In mezzo a ‘sto casino, potevamo esimerci dal fare l’ennesima figura barbina? 
Giammai.
Dopo aver girato a lungo alla ricerca dell’inesistente Piazza Grande (per di più il navigatore localizzava una Piazza Grande a poca distanza dalla nostra posizione… forse un locale omonimo),  un membro del gruppo si è arreso e, intercettato un distinto signore bolognese, gli ha chiesto:

“Scusi, dov’è Piazza Grande”

Al che il signore, ritenendoci infimi come la lanugine nell’ombelico (qui il mistero svelato), non si è però scomposto ed ha risposto: “Piazza Grande? Ma Piazza Grande è a Modena…” e se n’è andato via senza darci il tempo di replicare.
Se ci avesse cosparso di piume e bitume per poi colpirci con una mazza da baseball come delle pignatte umane, ci avrebbe ferito di meno… 

Cucina bolognese

Ovviamente, quando si viaggia, è cosa buona e giusta assaporare la cucina locale. Proprio perché è ovvio, eviterò di dirvi banalmente quanto è buona la cucina bolognese:


Di buona, è buona, naturalmente. 
Queste foto esplicative, però, vi avranno fatto probabilmente prendere dai 2 ai 3 chili e mezzo (e fatto salire il colesterolo almeno a 350).
Sicuramente, è anche colpa mia che mi sono rigorosamente tenuto lontano da ristoranti macrobiotici e vegani, ma il problema (gustoso, ma pur sempre un problema) è proprio questo: la cucina tradizionale bolognese, almeno quella con cui sono entrato in contatto, è tanto ghiotta, quanto impegnativa. 
Panna, besciamella, ragù  e compagnia calorica, tanto per avere un’idea… con l’aggravante delle porzioni: come, ad esempio, le mattonelle di pasta al forno multistrato misurabili in metri quadrati e reperibili direttamente dal piastrellista di fiducia…
A proposito, vi siete mai chiesti perché i bolognesi usano così tanto la bicicletta?
Ve lo dico io: per bruciare più calorie possibili tra un pasto e l’altro.
A pensarci bene, è un po’ la rivisitazione del film Speed. Nel film, infatti, un autobus con una bomba a bordo non poteva viaggiare al di sotto di una certa velocità per non esplodere… 


... I bolognesi, invece, devono pedalare il più possibile per non essere stroncati dal colesterolo che stringe in una morsa mortale le loro arterie. 
Naturalmente, e non poteva essere diversamente, abbiamo preso anche noi le nostre belle fregature.
Una sfera, sfatti dalle camminate (e dopo non aver trovato posto al ristorante che avevamo adocchiato), ci siamo fermati in un locale vicino casa. 
Grosso errore: la pigrizia non si sposa mai con la buona cucina.
In realtà, ce la siamo anche cercata: nel ristorante, infatti, tutti i clienti ordinavano pizze (che sembravano anche buone), ma nessuno di noi ne ha ordinata una, preferendo chi una grigliata di pesce (senza infamia e senza lode), chi delle tagliate. 
A pensarci bene, quando il cameriere non ci ha chiesto la cottura della carne, avremmo dovuto darcela a gambe subodorando l’imminente violazione anale in arrivo… ma non l’abbiamo fatto.
Purtroppo. 
Con nostro sommo dispiacere, infatti, la tagliata (forse un po’ piccola per essere realmente tale), ci è arrivata già tagliata in pezzi che andavano tristemente alla deriva in una sperlunga che conteneva olio bollente (all’interno del quale la carne completava la sua cottura).
Ora… non so se è così che i bolognesi mangiano la tagliata (del resto ho scoperto proprio durante il viaggio che ricoprono le cotolette con ogni ben di dio, giusto per aumentarne la porcosità…), ma l’effetto è stato devastante. 
Siamo rimasti così impietriti che nessuno di noi ha pensato di scattare qualche foto.
Ma non preoccupatevi, questa immagine rende bene l’idea:

Basta sostituire le isole con la carne e l’oceano con l’olio…

Menzione d’onore per l’angina pectoris che per poco non mi stroncava in uno dei ristoranti che abbiamo visitato (e dove si mangiava piuttosto bene, seppur non cucina tipica bolognese), a causa di questo: 

 
Un’aragosta (grazie al cielo finta), incastrata nei termoarredi del bagno…
 
 
… Dannazione, per uno come me che ha vissuto durante gli anni dell’Università in una casa infestata da scarafaggi grandi e bellicosi come nani da circo sbronzi, è stata un’esperienza decisamente traumatica (ma il rosolio allo zenzero era portentoso...)

È tutto per oggi, alla prossima!

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